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Il ricamo, una tecnica artistica più antica del mito di Aracne, attacca. Attacca il filo del presente, del passato e del futuro. Muovendo le dita intreccia azioni e memorie e il tempo mi scorre fra le dita. Ricamo e attacco gli dèi, la filosofia, la storia, la natura, attacco la fisica. Ma in quale direzione della freccia del tempo fila l’attacco? Le equazioni di Newton, di Maxwell, di Einstein, di Heisenberg e di Schrödinger hanno come nucleo matematico l’equazione differenziale, e nulla impedisce a una equazione differenziale di rivoltarsi. Che una pietra salta di nuovo fuori dall’acqua, dopo averla lanciata dentro, non è possibile soltanto in un montaggio su tik-tok, è possibile nella realtà stessa. “E’ solo un’incapacità accidentale, per la quale non siamo ancora in grado di fare una costruzione così abile, da provocare il necessario stato di vibrazione ai bordi di un lago o ai bordi di una ciotola d’acqua, per poterci riuscire per davvero”. Così conferma David Hilbert, inventore dello spazio matematico in cui la fisica osserva e calcola ormai da più di cento anni le energie quantistiche facendo acrobazie probabili ed improbabili da saltimbanchi.
Se la realtà fisica non impedisce di poter invertire la freccia del tempo, nulla impedisce nella mostra personale di Barbara Prenka in Galleria A plus A What time is it between my fingers?, di evocare con le sue opere quelle vibrazioni ai bordi, quelle condizioni limiti matematici e fisici delle mani sui ricami, che, come suggerito da Hilbert, potrebbero non solo semplicemente invertire la freccia del tempo, ma nel caso dell’arte intrecciare passato, presente e futuro in una maniera nuova — di fare e disfare la storia e le memorie come se fossero un letto. L’artista realizza con le opere in mostra una disposizione, che collega passato presente e futuro utilizzando tecniche tramandate, come il disegno e il ricamo, ma ispirandosi contemporaneamente nelle forme e nei colori a delle pratiche sociali nuove, alla possibilità di una filosofia e di una fisica con nuove aperture e nuove domande. L’artista sembra porre persino la domanda se il presente e il futuro non abbiano forse il potere di cambiare il passato.
L’intreccio della mostra trasporta il visitatore fino al letto d’infanzia di una Europa collettiva e condivisa. La geolocalizzazione di questo letto è la Jugoslavia. Per essere più precisi si trova nel Kosovo, e le coordinati temporali sono quelli della nascita dell’artista nell’anno 1990. Durante la prima guerra sul suolo Europeo combattuta dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i centrini, i copriletti ricamati, i disegni e le parti del corredo realizzati dalla madre dell’artista, e che ornavano il letto di quella infanzia, adornano ora le mura della Galleria A plus A e dialogheranno con tutte le opere dell’artista in mostra.
Fa parte della costellazione di opere in mostra la serie di 24 disegni Remind me who I am, che si concentra sulla ripetizione metodica della stessa immagine di un letto ognuna con piccole variazioni di colore e della sua struttura, come se l’oggetto disegnato seguisse una funzione matematica ondulatoria. Questo processo di ripetizione e mutamento diventa un’occasione per il risveglio. Ogni disegno cattura uno spazio intimo, simbolo di vulnerabilità e rifugio, ma anche allegoria di transizione e lucidità. Nell’accostare lavori che l’artista ha realizzati negli ultimi 5 anni, a oggetti di una infanzia nel Kosovo si leggono in mostra anche le tracce di ciò che è stato forzatamente abbandonato nella fuga da un paese in guerra. Le varie forme di violenza, comprese le cancellazioni forzate di luoghi e storie, sono messe in mostra come se fossero inscritte nella stessa struttura del mondo.
Un altro progetto in mostra è Dite e re. Si tratta di un archivio fotografico di una infanzia vissuta nel Kosovo che è stato trasformato in dei veri e propri tappeti ricamati. Nella realizzazione di questi ricami, l’artista ha coinvolte le donne della sua famiglia, la madre, la nonna e le zie, che tuttora vivono nel Kosovo. Si tratta dunque della realizzazione di un’opera d’arte, che ha dato l’opportunità di condividere attivamente storie personali sull’inizio della guerra in Jugoslavia. Il processo di realizzazione prevede l’inserimento manuale di un filo alla volta in un tessuto perforato; un’antica tecnica tradizionale praticata dalle donne kosovare durante il periodo prematrimoniale, quando creavano tappeti chiamati “Jani” come parte della dote. Questi tappeti e le altre opere in mostra, collegano immagini mentali, pratiche e memorie, a una tradizione tramandata di generazione in generazione, trasformando così tutta la mostra in un viaggio nel tempo. Le opere d’arte si confrontano con oggetti originari dagli anni 80’ e 90’ provenienti dal villaggio in Kosovo dove l’artista è cresciuta, e che ora sono stati citati in galleria come testimoni della storia.
What time is it between my fingers?, suggerisce un agire responsabile della fisica e delle sue applicazioni tecniche e dell’impiego delle sue risorse. Il tema della responsabilità della scienza e della fisica è anche il tema della filosofia di Karen Barad, statunitense di nascita, che ha ispirato in alcuni punti centrali la mostra personale di Barbara Prenka. La pratica e teoria sociale di Barad grava intorno al ricordo sul lancio delle due bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki, proprio così, come le opere di Barbara Prenka gravano intorno ad un letto d’infanzia durante la guerra in Jugoslavia. La “diffrazione-temporale”, così lo chiama Barad, è una coesistenza di passato, presente e futuro, che si influenzano reciprocamente. L’idea della mostra What time is it between my fingers? è di far estendere gli oggetti installati gli uni negli altri proprio come lo suggerisce la funzione dell’onda quantistica. “L’intra-azione”, altro concetto di Barad, osserva che i fenomeni o gli oggetti e gli esseri umani non precedono la loro interazione, non hanno una vera e propria ontologia preesistente al loro incontro, ma piuttosto gli oggetti come gli esseri viventi emergono attraverso particolari “intra-azioni”. Esseri umani, fauna e flora, come anche le entità materiali o entità discorsive non esistono separatamente e antecedente al loro incontrarsi, antecedente al loro misurarsi e osservarsi, e nel migliore dei casi, antecedente al loro imparare uno dall’altro, ma emergano soltanto attraverso le loro relazioni e sovrapposizioni. Come nel ricamo, i fili prendono senso e forma solo in relazione al tessuto e al disegno che creano insieme.
Barbara Prenka (1990, Gjakova, Kosovo) ha conseguito sia la Laurea Triennale che la Laurea Magistrale in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha studiato sotto la guida del Professor Carlo Di Raco.
Tra le sue mostre recenti: Covers (a cura di Zef Paci, Galleria del Ministero della Cultura del Kosovo a Prishtina, 2024), Dita e re(Centro di Documentazione del Kosovo a Prishtina, 2023), Re:nature(a cura di Sylvain Brugier, Kunstquartier Bethanien a Berlino), The Event of a Thread – Global Narratives in Textiles(a cura di Susanne Weiss, Inka Gressel e Hana Halilaj, Galleria Nazionale del Kosovo), What Do Landscapes Dream Of? (a cura di Sarah Solderer e Mara Vöcking, Biennale Gherdëina 8 in Alto Adige), Shelter Lines, (a cura di Edoardo Monti, Palazzo Monti, Brescia, 2021), Double Take, (a cura di School of Curatorial Studies di Venezia, A plus A Gallery, Venezia), Hôtel Dieu (A plus A Gallery, Venezia, 2023), Where Touch Speaks Louder (a cura di Eva Comuzzi, Marina Bastianello Gallery, Mestre-Venezia, 2022), Venice Time Case (a cura di Luca Massimo Barbero), For Some Bags Under the Eyes (a cura di Romain Sarrot, Sans Titre, Parigi, 2021), Pesi Massimi ( a cura di Fondazione Malutta e Augusto Maurandi, Spazio Punch, Venezia)
È stata vincitrice del Premio Euromobil Under 30 ad ArteFiera Bologna (2015) e il Premio per l’Arte Emergente al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee (2014) e del Combat Prize nella sezione pittura a Livorno (2014).
Barbara Prenka vive e lavora tra Venezia, Bolzano e Berlino.
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